Niente panico!

Il Disturbo di Attacco di Panico in 7 domande e 7 risposte


1. Che cos’è? E’ uno stato di ansia acuta intenso e improvviso, che può raggiungere l’apice in pochi minuti e poi decrescere lentamente. Generalmente viene descritto come una delle cose più brutte che possa capitare nella vita. Si accompagna a un senso di catastrofe imminente, paura di morire o impazzire, sintomi corporei spiacevoli che, tuttavia, non comportano alcun reale pericolo per la salute fisica. L’attacco di panico può verificarsi di giorno o di notte, in casa o in macchina, per strada o in un locale, da soli o in compagnia. Finita la crisi ci si sente sollevati ma comincia a insinuarsi il timore che possa ripetersi. Gli attacchi possono verificarsi in concomitanza con eventi stressanti o nella fase di rilassamento successiva a un periodo difficile della vita. Dato che la crisi si manifesta con disturbi corporei, spesso chi sta male ricorre al Pronto Soccorso, dove non è facile, almeno all’inizio, fare una diagnosi adeguata. Per tale motivo, in caso di attacchi ripetuti, è utile consultare uno psicologo o uno psichiatra.

2. Quali sono i sintomi? Si diversificano da una persona all’altra, tuttavia frequentemente compaiono le seguenti manifestazioni: Sintomi fisici: sudorazione, vertigini o senso di sbandamento, mal di testa o senso di testa vuota, palpitazione, dolore al petto, respiro difficoltoso, senso di soffocamento, nausea, disturbi intestinali, tremori, formicolii, paralisi dei muscoli. Sintomi psichici: sensazione di non riconoscere più se stessi, sensazione di distacco dalla realtà, paura di non trovare vie di uscita, paura di morire o di impazzire, paura di rimanere a casa da soli, paura di soffocarsi con il cibo. Dopo la crisi si può rimanere più o meno a lungo in uno stato di stordimento e sonnolenza.

3. Con che frequenza si ripetono? Dipende non solo da persona a persona, ma anche da periodo a periodo per una stessa persona. Alcuni pazienti riportano fasi di maggiore malessere a cui seguono altre di relativa remissione. Anche l’intensità è soggettiva. Molti riferiscono un unico attacco a cui segue però il timore continuo che possa ripetersi. Questo stato di ansia viene definito “ansia anticipatoria”, poiché ha la funzione di prevenire l’insorgenza di una nuova crisi.

4. Che cosa comporta? In generale un peggioramento della qualità di vita e delle relazioni sociali. Per chi soffre di attacco di panico può risultare infatti difficile fare amicizie, viaggiare, trovare lavoro o accettare lavori più vantaggiosi, essere indipendenti. Anche la vita sociale dei familiari può risultare condizionata. Parenti ed amici sono spesso costretti a svolgere ruoli di supporto (come dover accompagnare dappertutto il paziente), che alla lunga finiscono per stancare e provocare insofferenza. Può anche succedere che la fobia di uscire diventi funzionale a una certa organizzazione familiare. Dal canto suo chi sta male può sentirsi depresso e demoralizzato a causa dei sintomi e del ruolo che è costretto a chiedere di svolgere ai suoi accompagnatori, con sentimenti ambivalenti di necessità e frustrazione.

5. Come si cura? La terapia deve porsi essenzialmente tre obiettivi: a) migliorare la capacità di auto osservazione e riflessione su se stessi; b) riorganizzare i pensieri automatici in modo da evitare inutili e dannosi reazioni di pericolo anche quando la realtà non le comporta; c)mitigare lo stato ansioso anche usando farmaci specifici. Il raggiungimento di tali obiettivi permette non solo l’attenuazione o il superamento dei sintomi, ma anche l’utilizzazione al meglio delle potenzialità personali. Attualmente esistono farmaci che, sotto il controllo medico, possono essere ben tollerati ed efficaci. La psicoterapia individuale o di gruppo consente di trovare una comprensione e un senso a ciò che sta accadendo. La ricerca scientifica dimostra che l’integrazione di queste due terapie rende maggiormente possibile la guarigione o comunque un sensibile miglioramento della qualità della vita.

6. Quali possono essere le resistenze all’inizio della cura? Per chi soffre di attacco di panico è fondamentale mantenere il controllo su se stessi e sugli eventi. La paura di dipendere da qualcun altro può perciò rendere difficile affidarsi a uno specialista. Ciò vale anche per i farmaci, spesso portati in tasca o nella borsa perché la loro presenza rassicura, evitando però di assumerli per timore di reazioni incontrollabili all’interno dell’organismo. E’ temuta anche la perdita di vigilanza, funzione che le persone ansiose tendono a conservare il più possibile attiva. Ciò porta a curarsi da soli, giungendo allo specialista tardivamente, solo dopo aver sperimentato il fallimento del fai da te. Chi accetta di curarsi spesso continua a manifestare diffidenza, chiedendo continue rassicurazioni e preoccupandosi che il medico non sia disponibile in caso di necessità.

7. Perché è così frequente nell’epoca moderna? Il DAP affligge circa 2 persone su 100. Le donne sono più colpite degli uomini (con una frequenza quasi doppia) o almeno sono quelle che ricorrono più spesso alla psicoterapia o ai farmaci. Viviamo in un’epoca in cui la personalità viene valutata in base ad ideali di successo, autoaffermazione e autonomia difficili da raggiungere in ogni caso, ma che la crisi e la precarietà (non solo economica ma anche dei legami affettivi) hanno reso ancor più inarrivabili. L’autorealizzazione personale appare più un obbligo sociale che una scelta praticabile, un mito dell’epoca postmoderna. Il panico riflette la paura di non reggere il confronto, la competizione, le aspettative di indipendenza, successo e conferme sociali provenienti dal mondo esterno. E’ possibile che le donne siano più colpite degli uomini perché oggigiorno impegnate a reggere le attese non solo riguardo ai ruoli tradizionali ma anche a quelli lavorativi e sociali, malgrado lo scarso aiuto proveniente da servizi e istituzioni. Il panico, che si manifesta con sintomi somatici, riflette inoltre una scarsa conoscenza di sé in termini emotivi. Le crisi neurovegetative (tachicardia, nausea, oppressione respiratoria, ecc.,) nascondono una fragilità del sé, emozioni dolorose ma inespresse, bisogni negati e desideri inesauditi. Se si mette da parte questo mondo emotivo, si rischia di avvertire soltanto la reazione corporea ad esso connessa. Corpo e mente non sono infatti separati ma un tutt’uno indivisibile. Il panico dunque non va soffocato ma ascoltato e capito come una protesta urlata, un disagio della persona che non ha trovato altra possibilità di esprimersi.